Un solo esemplare di
Rover Saloon a noleggio disponibile in Italia, per un modello di auto che racconta una storia unica e affascinante. Per saperne di più bisogna partire da molto, molto lontano… occorre tornare indietro fino al 1861. Siamo a Coventry, nella nona città più popolosa d’Inghilterra. E’ qui che James Starley e Josiah Turner fondano un’officina di modeste dimensioni. La Coventry Sewing Machine Company si occupa di macchine da cucire. Le ripara, essenzialmete. Già, perché Starley nutre una vera predisposizione per gli oggetti meccanici. La sua è una passione che inizia da piccolo, quando inventa trappole per topi, aggiusta orologi, si diletta nell’ideare meccanismi ‘salva anatre’. Un novello Leonardo insomma, che trova sfogo alla sua arte solo nel 1868, quando di lui nipote si presenta in fabbrica con un velocipede.
Tutto ebbe inizio… da una bicicletta
Qualcuno direbbe: “Ereditarietà!”. In effetti, il talento contagia le generazioni. John Kemp – questo il nome dell’allora quindicenne – è un ragazzo dalle mani magiche. Abilissimo nella custruzione di biciclette e tricicli, nel giro di poco, fa sì che
Coventry si trasformi nell’epicentro dell’industria dei mezzi a due ruote. Non trascorrono neppure dieci anni, infatti, perché il giovane decida, insieme all’amico William Sutton, di avviare un’officina tutta nuova, dedicata unicamente alle biciclette. La Safety Bicycle, la prima bici moderna, con tanto di trasmissione a catena, ruote di diametro contenuto ed uguale, esce nel 1884. Altri quattro anni, ed è la volta del primo veicolo a motore, un prototipo del triciclo elettrico, mai entrato in produzione. Tant’è. Nel 1896 nasce la Rover Cycle Company Ldt., mutuando la denominazione dal brevetto Rover, un complicato triciclo azionabile grazie all’uso contemporaneo di arti superiori ed inferiori. Tre anni ancora, e Starley Junior decide di importare motociclette Peugeot per… sperimentarle.
Le quattro ruote
Tre anni dopo la morte di Starley, avvenuta nel 1901, la direzione aziendale viene assunta da Harry Smith, deciso a puntare sulle automobili. Due posti, tra cui spicca la Rover Eight, disegnata da Edmund Lewis. Quando quest’ultimo abbandona l’azienda, nel 1905, è Owen Clegg a rimpiazzarlo. Un periodo intenso, in cui l’inglese, esperto di auto, rielabora la Rover 12, terzo modello prodotto dalla casa automobilistica. Motore quattro cilindri raffreddato ad acqua e valvole laterali da 2.297 cmq., carburatore SU prodotto dalla Rover sotto licenza, cambio a tre marce.
Scelta, obbligata o non, le due guerre causano di certo uno slittamento rispetto alle pretese dell’azienda, che riversa le sue attenzioni al settore dell’aeronautica. Vengono messi in produzione solo modelli relativi ai primi venti anni, oppure motociclette. Non c’è voglia né, forse, possibilità di guardarsi attorno. La ripresa inizia nel 1949, con l’immissione sul mercato della P4. Una berlina da ‘fare storia’. A dimostrarlo, le numerose versioni che ne susseguono e gli incalcolabili premi conquistati nel tempo. Rover 2000, nel 1964, può considerarsi, tanto per dirne una, Auto dell’anno.
1967. Colpo di mano della British Leyland, che acquisisce stabilimenti, dipendenti e diritti per l’utilizzo del marchio. La produzione viene disseminata tra i diversi edifici della ditta. All’impianto originale non rimane che la costruzione della Land Rover. La denominazione Rover continua a sopravvivere anche quando, nel 1981, i diritti vengono trasferiti alla neonata suddivisione: Gruppo Austin Rover. Sono questi gli anni in cui prende avvio la collaborazione con Honda, fino al momento della privatizzazione da parte del Governo Britannico, che per l’azienda prevede un’ulteriore paternità. Si tratta di British Aerospace. Nel 1994, il Gruppo Rover – questa la moderna denominazione – viene uteriormente acquisito. Stavolta è BMW a vantarne il diritto che, tuttavia, la scorpora. Nel 2005, dunque, è la Ford – contesa dalla cinese Shanghai Automotive Industry Corporation – ad acquisire i diritti di utilizzo del marchio Land Rover.
L’arrivo del Colosso Indiano
Una favola, quella appena raccontata, che termina – con un esborso pari a 2,3 miliardi di dollari – nelle mani della Tata Motors, casa automobilistica di ampio respiro, con sede a Mumbai, già proprietaria dei diritti di produzione di vetture simbolo: Jaguar, per dirne uno, ma anche Daimler, Lanchester… e quanto di meglio abbia caratterizzato la storia delle quattro ruote a motore.